Da quando ho ricevuto la diagnosi di disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (ADHD) è stato inevitabile imbattermi con una serie di nuovi termini che prima ignoravo. Questi termini mi hanno insegnato ad abbattere degli standard che io stessa mi sono imposta per quasi 30 anni della mia vita e che hanno limitato l’espressione di una gran parte di me.
L’altra grande distinzione è tra i termini neurotipicità e neurodivergenza. Il primo indica una serie di caratteristiche e funzionamenti registrate nella maggior parte delle menti umane mentre il secondo indica una serie di caratteristiche e funzionamenti che, per ora, sembrano divergere da quelli che sono invece definiti come più frequenti e comuni nella popolazione.
Questi termini, per quanto possano sembrare in un primo momento divisivi, aiutano invece a sottolineare un problema comune: così come la biodiversità, anche la neurodiversità è a rischio estinzione.
Infatti, il sistema scolastico, lavorativo e di consumo in cui nasciamo e cresciamo è costruito prettamente su un unico funzionamento, quello neurotipico. Dentro questo sistema le menti neurodivergenti sono costrette a mettersi a sedere composte e ferme, a prestare attenzione, a usare un certo linguaggio espressivo e motorio, in altre parole, a non essere e quindi a sparire.
La vera rivoluzione avverrà quando un giorno cadrà nel fiume e finalmente capirà che non solo nuotare è più semplice ma che scalare, per lui, è assai più difficile, a tratti impossibile.
Dalla cima di quell’albero ci saranno degli scoiattoli pronti a giudicare il comportamento del pesce, continuando a sostenere che l’unico modo per vivere sia scalare e che nuotare sia totalmente fuori natura. Una moda nata negli ultimi anni solo per giustificare alcuni comportamenti maleducati e strambi delle nuove generazioni.