Le ferite sono lì sulla pelle. Alcune sono già diventate tessuto cicatriziale, altre bruciano come se ci avessero versato sale addosso, ma gli spazi per onorare le prime e curare le seconde sono veramente molti pochi in questo paese.
In un abbraccio riesci a sentire la specifica dimensione della mancanza di qualcosa che non hai avuto, qualcosa di cui non hai mai fatto esperienza, di cui conosci intuitivamente i contorni, ma che ti è stato strappato. È una mancanza particolare, una malinconia identitaria che ha il gusto di ferro del sangue in bocca.
Quando ti raccontano, mettendo etichette come sulle lattine dei prodotti al supermercato, tu non hai ancora avuto la possibilità di far partire un'azione di ricerca dentro. Senti però che qualcosa che non conosci ti appartiene, fa parte di te. Potrebbe essere un modo di stare con chi senti porti ferite simili, potrebbe essere nell'imbarazzo la prima volta in cui ti approcci alla consistenza del fufu e non capisci cosa dovresti fare, potrebbe essere che in quelle serate in cui mettono Afrobeats, il tuo corpo si muove e per una volta è la mente a dover seguire.
Cammini e spesso ti senti di troppo, così presente ad ogni movimento nello spazio, così controllato nel parlare che non ti riconosci. Non riconoscerti per essere riconosciuto. Li conosci a memoria quegli sguardi che indagano, che provano a cercare la giusta definizione, il giusto spazio dove infilarti a forza, così violentemente. Non sai che fartene di tutto ciò che di te sfugge all'occhio bianco, come tenerlo in mano, ti fa male tutto il petto, i peli sulle braccia si alzano, pronti a combattere, quel formicolio alle cosce, pronto a correre. Ma poi dove? Estraneo ovunque.
Come lo spieghi che quell'odore di burro di karité per te sa di casa? Come la spieghi casa quanto attorno tutti parlano di geografie? Cosa te ne fai dei luoghi quando senti che nulla ti appartiene, coordinate sciape, quando non puoi nemmeno accedere ai luoghi della tua anima perché rischia di fare troppo male? Ti chiedono se sei italiano, ti dicono cosa dovresti sentire, ti dicono che sei del colore della cioccolata, ti vogliono mangiare, sublimano la volontà di mangiarti, digerirti ed eliminarti. Ti dicono che i Neri non sanno nuotare, mentre tu sai del tuo rapporto silenzioso e sacro con l'acqua e ti fa male non riuscire a spiegarlo. Vuoi spiegarti, vuoi renderti visibile per ciò che non possono afferrare, inseguendo l'invisibilità per come vogliono che tu sia.
I tuoi respiri seguono una musica che canta di quanto tu sia una minaccia, corpo estraneo, virus resistente al progetto coloniale, sono respiri così veloci, dentrofuori dentrofuori dentrofuori dentrofuori, la testa gira, ma quello sguardo cos'era? Sembra un enorme circo, ti senti l'attrazione, ora che non sei più un bambino ti dicono che sei un bel ragazzo, molto educato, parli bene, non sei come gli altri, ti vesti bene, hai un buon profumo. Senti da dentro la necessità di mettere quel corpo lattiginoso a proprio agio, ti muovi cauto, la voce è molto controllata, sorridi in maniera soffice, ma non sanno quanto ti costa.
Tieniti stretti i momenti in cui da bambino dicevi che eri degli Stati Uniti perché la nerezza da quelle terre sembra arrivare come più digeribile. Non dimenticare, il dolore serve per attivare la giusta cura, se non ti accorgessi di avere una ferita rischieresti di peggiorare la situazione. Abbi cura delle tue ferite, arriverà il momento in cui il tessuto cicatriziale sarà orgoglio. Arriverà il momento in cui sarai forte abbastanza per tuffarti e andare a fondo -sìsonuotare sìsonuotare sìsonuotare- troverai altre persone a nuotare, a ricercarsi e riconoscersi nel buio di un paese in cui o sei eccellenza, o risorsa, o minaccia eliminabile. Troverai la magnificenza del rosso nell'eredità del regno del Benin, il bianco diventerà la bellezza delle conchiglie cipree, troverai orgoglio. Respira fino a riempire tutta la tua pancia e potrai andare a fondo. Lascia stare quel rumore bianco che ti vuole spogliare di quello che stai faticosamente cercando per consegnarti la spilla dell'italianità, lascia stare anche quel rumore del senso di colpa del non sapere della tue radici.
Che colpa ha una pianta se è stata sradicata e infilata in un altro vaso? Lascia stare tutto ciò. Coltiva l'immaginazione, si tratta di creatività, sei tutto ciò che non possono definire, fuggi perché sei in uno spazio tempo per il quale non hanno parole, proveranno continuamente a spingerti di qua o di là, a dividerti. Aguzza l'olfatto, lo senti quell'odore, lo senti che ci sono persone con cui puoi nuotare più a fondo di dove lo sguardo bianco arriva. Create qualcosa che ora non c'è, scegliete i nomi, gli sguardi, le lingue con cui comunicare, non lasciare che siano solo ferite simili ad unirvi, non passate la vostra esistenza a definirvi tramite chi vi ha ferito. Fuggi. Sii creativo. Rivendica ciò che le loro uniche lenti non possono definire.
Per quanto ti vorranno separato dal resto, il bravo Nero, saprai ritrovarti, riconoscerti, riparlarti nella collettività, nel noi. Se quello sguardo che conosci così bene non sarà più il centro cadrà tutto attorno, la marginalità potrà essere rivendicata come il tuo centro, tuo e delle persone con cui condividerai quel nuotare a fondo verso di voi.
Ricordati della vergogna che ti hanno iniettato, ricordatela quando sentirai germogliare dentro l'orgoglio.
«Mia madre mi ha insegnato che ci sono solo due cose che devo fare, e posso farle con chi decido io. Con me stessa, i miei vivi, i miei morti, le mie persone care, i miei sogni. 1: Restare Nera. 2: Respirare.» Alexis Pauline Gumbs, Undrowned. Lezioni di femminismo Nero dai mammiferi marini, Timeo, Palermo, 2023