La sfida del femminismo per un cambio di paradigma

Il femminismo, nel suo continuo lavoro di decostruzione e ricostruzione sociale, ha il compito di affrontare una sfida urgente: liberarsi dal concetto di punizione e castigo per abbracciare quello della cura e dell'introspezione collettiva. Questo cambiamento di paradigma non solo impatta sull'individuo, ma ha ripercussioni sulla società nel suo complesso.

Per cura non si intenda il concetto cattolico e religioso del termine, ma piuttosto una radicale comprensione di tutto ciò che riguarda una co-responsabilità verso l’altro e ciò che fa nello spazio, società, mondo che abita.

Come sottolineato da Giusi Palomba nel suo libro *La trama alternativa* l'approccio punitivo non risolve il problema dell'errore, ma lo sposta semplicemente altrove. Anziché promuovere il cambiamento e la crescita, questo approccio incoraggia e predispone, nel peggiore dei casi, la ripetizione degli errori. Smantellare una cultura del castigo non intende de-responsabilizzare chi sbaglia, chi attua una violenza o esercita azioni che ledono gli altri, ma mira a ripensare le modalità di trasformazione possibile.

Ciò da un lato permette di recuperare ed abilitare una comprensione di sé e dell'errore da parte dell'individuo, e dall'altro di prevenirne di altri, innescando una pratica collettiva di autoanalisi e nuove strategie di cura.

Viviamo in una società che privilegia e sponsorizza la cultura del castigo, concentrandosi esclusivamente sulla responsabilità individuale, mentre ignora la responsabilità collettiva, di contesto. Questa mentalità punitiva, radicata nella nostra cultura, è anche normalizzata e legittimata dalle pratiche quotidiane. Come evidenziato da Pierre Bourdieu nel suo Il dominio maschile, la visione androcentrica (ovvero "una visione prioritaria, o addirittura esclusivistica, del potere del maschio nella società") è continuamente legittimata dalle pratiche sociali che essa stessa determina. Le donne, e i dominati in generale, interiorizzano culturalmente e inevitabilmente queste pratiche, applicando categorie create dai dominanti ai rapporti di dominio, facendoli apparire come naturali.

«Così come sono possibili la rabbia e il desiderio di punire, lo è anche quello di trasformarsi: esiste, ma è semplicemente più difficile da intercettare, perché dall’esterno l’imperativo è rafforzare soltanto il desiderio di punizione, alimentarlo più che si può. Punitivismo non è soltanto chiamare la polizia davanti a una scena di violenza, ricorrere al sistema penale per risolvere un problema sociale: sono le parole di stizza dette a un’amica in difficoltà, a un parente che non soddisfa le aspettative familiari, a un dipendente sul posto di lavoro che non raggiunge un obiettivo, a una relazione intima da cui pretendiamo qualcosa che non ci può dare. Sono le reazioni saccenti e acide sui social, che scatenano discussioni infinite.» G. Palomba, La trama alternativa. Sogni e pratiche di giustizia trasformativa contro la violenza di genere, Minimum Fax, 2023

Il sessismo (come tutte le pratiche violente figlie di questo sistema) è figlio primogenito di questo sistema, e ogni atto di violenza sessista è un'espressione della cultura di una comunità. La responsabilità di un atto di violenza non è solo di chi lo commette, ma è anche collettiva, poiché è il risultato di una serie di micro-aggressioni e violenze più evidenti che sono tollerate, giustificate, e spesso incoraggiate dalla società.

In un'ottica femminista, come comunità in lotta che desidera un cambiamento radicale, dobbiamo porci delle domande fondamentali. Dobbiamo chiederci: quali strategie possiamo adottare, riscrivere, immaginare, per costruire comunità resilienti che sappiano affrontare situazioni complesse senza auto-distruggersi?

Dovremmo inoltre guardarci a fondo, come individui e come collettività, per comprendere se per il cambiamento che vogliamo sia efficace concentrarsi sulla colpa o meno di un singolo, piuttosto che attuare processi di decostruzione collettiva, dei sistemi che perpetriamo a livello di piccole realtà ed eco-sistemi, nelle nostre relazioni interpersonali, smantellando posizioni di potere, privilegi, abilitando una comprensione totale di ciò che siamo e ciò che ci ha determinati e determinate fino a qui.

Per superare questa mentalità punitiva, che questa madre-società ci passa sotto pelle alla nascita, come un’eredità, è necessario un cambio di paradigma estremamente complesso, che inizia nel presente e ci muova, attraverso piccoli passi, verso il futuro desiderato. È essenziale sostituire la cultura del castigo, della punizione, dell’isolamento.

La sfida del femminismo oggi è quella di lavorare verso una società in cui l'errore sia colto come un'opportunità di crescita e di cambiamento. Una società in cui la responsabilità non sia solo individuale, ma sia condivisa dalla comunità. Una società in cui la violenza non sia normalizzata, ma sia riconosciuta e contrastata. Una società in cui le dinamiche di potere non sono passate nelle mani di un altro oppressore, ma siano abbattute.

Come ha scritto Audre Lorde, poetessa, scrittrice ed attivista statunitense, «gli strumenti del padrone non smantelleranno mai la casa del padrone. Ci possono permettere di batterlo temporaneamente al suo stesso gioco, ma non ci metteranno mai in condizione di attuare un vero cambiamento».

«Gli anni trascorsi in contesti di attivismo avrebbero dovuto rendermi più facile la prossimità col mondo degli ideali. La realtà è che pure gli ideali si consumano, si svuotano, subiscono gli stessi processi di usura di tutti i meccanismi che mancano di manutenzione, e si lasciano contaminare e corrompere come tutto il resto. Mariame Kaba, educatrice e organizzatrice comunitaria statunitense, scrive: “La speranza è una disciplina”.  Ed era questo il tassello mancante.» G. Palomba, La trama alternativa. Sogni e pratiche di giustizia trasformativa contro la violenza di genere, Minimum Fax, 2023

La punizione rende la violenza accettabile. Abbiamo il dovere di cambiare le carte sul tavolo, o la partita sarà truccata in eterno.